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Non avrei mai pensato che quello sarebbe stato l’ultimo incontro e l’ultimo saluto con Piero Frosio. Poco meno di tre mesi fa, nell’intervallo di Monza- Cosenza. Sapevo che aveva avuto qualche guaio con la salute; ma, grazie ad un fisico da ex calciatore ben conservato, mi era sembrato quello di sempre. Al punto che non avevo minimamente fatto menzione ai suoi problemi.

Con la scomparsa di Frosio se ne va un pezzo della storia dell’AC Monza, il periodo in cui ho vissuto più da vicino le vicissitudini della squadra quale corrispondente de La Gazzetta dello Sport. Frosio, nato a Monza e dunque nel non facile ruolo di riuscire a essere profeta in patria, guidò i biancorossi ad un’inaspettata ed insperata promozione in B al suo primo anno da allenatore professionista. Con Beppe Marotta quale direttore generale. E con una squadra giovanissima, in cui c’erano tra gli altri, oltre a Giovanni Stroppa, capitan Saini, Fontanini, Casiraghi, Bolis e Brioschi. Il gruppo storico di fine anni Ottanta, rimasto legato al territorio brianzolo, alla società di Monzello e alla città di Monza.

Quella città in cui Frosio abitava, vivendo in pieno centro e frequentandolo con gli amici più cari. Capitava spesso di vederlo seduto a bere il caffè o sorseggiare un aperitivo nei bar di via S. Paolo, in compagnia di amici, conoscenti e tifosi. Ai quali non si negava mai, educato e cordiale come sapeva essere in un mondo del calcio che non sempre ha avuto ed ha protagonisti con queste doti. Ovviamente anche nei confronti della stampa. Mai uno screzio, mai una polemica, sempre collaborativo e rispettoso dei ruoli. Che contrasto, non solo per il gioco espresso e per i risultati sul campo, quando a fine anni Novanta fu chiamato a rimpiazzare l’esonerato Bolchi.

Se il Monza di Alfredo Magni è stato quello che mi ha fatto più sognare, quello di Piero Frosio è stato il Monza che più mi appartiene. Non solo per il mio impegno giornalistico, ma anche per una questione anagrafica: Saini, Stroppa e tutti gli altri sono, anno più anno meno, miei coetanei. E sono quelli che erano rimasti più legati al tecnico che ha creduto fortemente in loro fin da giovanissimi. Oggi mi fa ancor più piacere sapere che nei mesi scorsi abbiano trovato l’occasione per trascorrere, gambe sotto il tavolo,  qualche serata spensierata proprio col loro vecchio mister.

Caro Piero, riposa in pace. Ma so già che lassù, quando incontrerai un altro monzese doc come Giancarlo Besana, non potrete fare a meno di parlare di calcio e di quegli anni meravigliosi in cui hai allenato il vostro e nostro Monza.   

Paolo Corbetta