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“Il modo in cui una squadra gioca nel suo complesso determina il successo. Si può avere il più grande gruppo […] ma se non si gioca in modo unito, il club non varrà un centesimo”.

Il pensiero di George Herman Ruth, esterno dei New York Yankees degli anni ‘20 del Novecento e il più grande giocatore di baseball di sempre, è significativo per riassumere il rapporto tra gioco e successo, con l’unità a definire il valore. Che sia sportivo o economico. 

Le parole di “The Sultan of Swat” sconfinano nel nuovo secolo e risuonano nell'ambiente biancorosso, con il Monza sempre più abbandonato al suo destino. Nero e triste, segnato dall'ultimo posto in classifica e dallo spettro di una retrocessione che, complice la sconfitta interna con l'Hellas Verona, sta diventando sempre più concreto. Dentro il corpo, con sofferenza, perché “il dolore dell'anima è molto peggiore del dolore del corpo”, proprio come sosteneva il drammaturgo romano Publilio Siro. 

E a proposito di drammaturgia, la forma della tragica greca, sembra aleggiare in Brianza, con un Monza che, partita dopo partita, vive una sorta di dramma a caduta libera. 

All'U-Power Stadium, la squadra di Bocchetti annaspa e incassa l'ottavo ko casalingo, con l'autogol del neoacquisto Lekovic a decidere la sfida contro gli scaligeri.
Approccio attendista, mentalità fragile, difficoltà nel costruire lo spazio e aggredire gli avversari, reparti troppo slegati e gioco sterile: il Monza comanda il possesso ma non riesce a rendersi pericoloso, con due tiri nello specchio della porta a racchiudere lo stato di criticità attuale di un gruppo falcidiato dagli infortuni e rimaneggiato totalmente dal mercato.

Una partita sporca, ruvida e contorta, priva di spettacolo e avara di occasioni, ma con l'atteggiamento e l'impeto dei mastini a determinare il risultato. 

Monza scarico, Verona tenace

"Il calcio è uno sport di errori. Chiunque faccia meno errori vince".

Dal Vangelo secondo il “Signor Gesù” Cruijff, come lo definisce Marco Van Basten nella sua autobiografia “Fragile” (2020, Mondadori). Una regola scolpita nella pietra, poiché nel calcio vince chi sbaglia di meno, in difesa e in attacco, nella lettura dei momenti e nella capacità di gestire le partite.

All'U-Power Stadium il Verona sbaglia tanto davanti, non concede nulla dietro e conquista un successo fondamentale in ottica salvezza. Il Monza, al contrario, nuovo e reinventato, accumula errori in difesa e crea poco o nulla in fase offensiva, inanellando la quinta debacle nelle ultime sei giornate. 

Zanetti si affida al 1-3-4-1-2, con Motipò tra i pali, trio difensivo formato da Ghilardi, Coppola e Danilucic, in mediana Belahyane e Serdar, sugli esterni Bradaric e Tchatchoua, tridente offensivo con Suslov trequartista dietro Sarr e Mosquera. 

Bocchetti preserva il consueto 1-3-4-2-1 ma disegna un Monza inedito: Turati in porta, difesa adattata con Izzo centrale e i nuovi innesti Palacios e Lekovic, nel mezzo Sensi e Urbanski, sulle fasce Kyriakopoulos e Pereira, in avanti Vignato e Ciurria alle spalle di Mota.

Monza e Verona si osservano, si studiano e, infine, si affrontano. Sono gli ospiti a mostrare più slancio, fisico e di carattere, con un intensità e regolare pressione sul portatore di palla. 
Il primo squillo è proprio dei gialloblù, con Sarr che ruba palla a Sensi sulla trequarti e serve davanti al portiere Serdar: il tiro del tedesco è deviato in angolo da Turati con un'ottima parata.

Al 12' la gara si blocca. Ampiezza, triangolazione interna e imbucata a rompere la linea: la percussione di Serdar manda in corto circuito Urbanski e fuori causa Palacios, con l'intera difesa del Monza posizionata. Dal fondo il 25 gialloblù mette in mezzo ma Turati è incerto sulla copertura del suo palo, stecca l'intervento e causa l'autogol clamoroso di Lekovic. 

Per l'ennesima volta in campionato il Monza si ritrova sotto e fatica a replicare, con un primo tempo a ritmi blandi e l'unica conclusione in porta di Mota al 32'. Il Verona serra i ranghi con tenacia, imposta un match di sacrificio, compattandosi sotto palla e sfruttando le ripartenze. 

Monza-Verona 0-1
Dai e vai e imbucata a rompere la linea: la percussione di Serdar, con l'intera difesa del Monza posizionata, manda in corto circuito Palacios e fuori intervento Urbanski, con Turati che sbaglia l'uscita e causa l'autogol di Lekovic - Foto: DAZN

Sterilità biancorossa, solidità giallobù

Il copione nel secondo tempo resta inalterato: i brianzoli cercano di fare la partita, i gialloblù resistono e giocano in transizione, approfittando della circolazione macchinosa degli avversari per recuperare palla e puntare la porta. 

Paolo Zanetti predica ordine e concentrazione, baricentro basso e rapidità nel reagire al cambio di possesso, con lo scopo di distendersi nella metà campo brianzola e tentare la zampata del raddoppio.

Questione di mentalità, perché come sostiene l'ex giocatore di football americano Robert Griffin III, “è la mentalità della squadra che fa la differenza”.

Gli scaligeri sono tonici e sul pezzo, non si snaturano e mantengono un certo bilanciamento nella struttura, approfittando delle giuste situazioni per pungere. 

Al 57' il Verona costruisce un'opportunità enorme per portarsi sullo 0-2, con un ribaltamento di fronte su attacco del Monza. Ghilardi respinge il cross di Pereira e rilancia lungo per Mosquera, che fa sponda per Sarr e apre il campo al compagno. Attaccare il lato forte per liberare il lato debole: lo strappo del 9 gialloblù sull'out sinistro è micidiale, con Lekovic saltato secco e una conduzione indisturbata palla al piede che costringe Palacios all'uscita, lasciando di conseguenza scoperto uno spazio dietro di sé per l'inserimento di Niasse. Il 10 del Verona, in prestito dallo Young Boys, non è freddo davanti a Turati e spara altissimo sopra la traversa.

Al 58' Bocchetti inserisce Castrovilli e Martins per Sensi e Kyriakopoulos, poi al 67' Turati accusa un problema muscolare e al suo posto entra Pizzignacco. In tre minuti gli ospiti sprecano tre occasioni con Ghilari, Mosquera e Suslov, che al 77' ha un'altra palla gol sul mancino ma il suo tiro esce fuori di poco.
Il Monza prova a pareggiare i conti, con generosità e le ultime energie, ma il Verona chiude spazi e linee di passaggio obbligando gli avversari a una circolazione rugbistica da destra a sinistra e viceversa. 

Nel finale, sugli sviluppi di corner, Mota stacca sul primo palo ma la palla termina sul fondo. Dopo 5' di recupero, l'arbitro manda le squadre sotto la doccia: Monza-Verona finisce 0-1.

Monza-Verona 0-1
Attaccare il lato forte per liberare il lato debole: l'azione di Sarr che genera l'occasione fallita da Niasse - Foto: DAZN

Difendere l'orgoglio e la maglia

“Mio Dio dacci una mano, per favore, non ti chiedo altro”. 
Un'invocazione ma anche una speranza che trascende il concetto di speranza stessa. A pronunciare queste parole è Harry Stamper, alias Bruce Willis, nel film Armageddon - Giudizio Finale, titolo che riassume la dimensione di un Monza svuotato nella testa e nel morale, ferito nell'orgoglio e travolto da un immobilismo frenetico, con dinamiche spiazzanti e una gestione intestina sempre più indecifrabile.

14esima sconfitta stagionale e decima con un gol di scarto: la squadra di Bocchetti fallisce l'appuntamento con le gare che contano, va in svantaggio e fatica a reagire, subisce il contraccolpo del gol preso e collassa nel gioco, si sfalda nell'organizzazione, consuma la lucidità e avanza con poca convinzione, quasi per inerzia, rimbalzando sul muro di gomma avversario.

Non solo: per il Monza, fanalino di coda in Serie A, il fattore che pesa di più negli ultimi scontri diretti, al netto delle prestazioni, è la tenuta psicologica altalenante e la mancanza di forza nel raggiungere quantomeno il risultato minimo, ossia il pareggio, che avrebbe cubato 3 punti in più (Parma, Cagliari, Verona) e tolto 2 punti a testa alle rivali.

La salvezza è un lontano miraggio, l'ottimismo e il pessimismo cedono il passo al realismo, quello aristotelico, la rassegnazione è un fardello troppo pesante da debellare, l'evidenza dei risultati, ormai, lascia spazio alla delusione e ad ogni forma di disillusione.

Ora diventa complicato proseguire il cammino, ma occorre lavorare e, come dichiarato da Armando Izzo nel post partita, “continuare a crederci”. Anche se il gap con la quartultima in classifica si è allungato a 8 punti e le prospettive attuali, con un gruppo impoverito di esperienza (Pablo Marì, Djuric) e talento (Maldini) e rimpinguato di scommesse e prestiti, sono ridotte al minimo. 
L'obiettivo è salvare l'onore e la propria dignità, nel pieno rispetto dei tifosi e del campionato, dei colori biancorossi e della maglia, disputando le ultime 15 gare con lo spirito di chi non ha nulla da perdere ma ha il coraggio di sperimentare, e quindi puntare, sui giovani meritevoli e di qualità (Martins su tutti, il migliore contro il Verona per grinta, personalità e giocate). A partire dal prossimo match, in trasferta all'Olimpico domenica 9 febbraio alle ore 15:00 contro la Lazio di Marco Baroni.

E se il futuro biancorosso sembra segnato dall'Armageddon, l'unico leitmotiv possibile non può che essere quello cantato dalla Curva Davide Pieri a fine gara, “Non molliamo mai”, in un mix ipotetico con la stupenda I Don't Want To Miss A Thing degli Aerosmith (Non voglio perdermi niente) a restituire un barlume di romanticismo per il secondo e ultimo atto della stagione.

A cura di Andrea Rurali