Amarcord Biancorossi - A Monza lo svezzamento di un cucciolo che divenne Giaguaro: Luciano Castellini
Chi vive di romantici Amarcord biancorossi mi capirà. Se il fine è nobile, i mezzi sono giustificati. Ed il fine è nobilissimo: celebrare il più grande portiere della storia del Monza nei giorni che portano al suo compleanno (domenica 12 dicembre). Il mezzo è quindi giustificatissimo ed – a ben vedere – altrettanto nobile anche se triste: ricordare il più grande giornalista sportivo italiano nei giorni che portano all’anniversario della sua scomparsa (19 dicembre 1992).
Per farla breve: fu Gianni Brera a coniare il termine ‘Giaguaro’ per Luciano Castellini. Parafrasando De Gregori potrebbe essere il portiere e lo scrittore “Un incrocio di destini in una bella storia, di cui mai si perderà la memoria. Calcio d’altri tempi, prima delle televisioni, quando era allo stadio che si vedevano i campioni …”
In verità il numero di presenze di Luciano tra i pali della porta del Monza non è così elevato (60) ma acrobazie, coraggio, spettacolarità, efficacia e sicurezza hanno quel cuore che le aride cifre manco si sognano: l’immaginario collettivo si nutre di emozioni e travalica le statistiche. Cresciuto nel settore giovanile biancorosso, Castellini debutta in Serie B nel 1965-66 (e più precisamente nel secondo tempo di una disastrosa trasferta in terra di Puglia: Trani-Monza 4-1). E’ la disgraziata stagione del mesto ritorno in Serie C dopo ben 15 tornei consecutivi tra i cadetti. Il presidente Redaelli rifonda la squadra e la affida al giovane Gigi Radice. Tra i pochi salvati dalla epurazione la coppia di portieri: l’esperto Santino Ciceri (classe 1935) ed il promettente Luciano Castellini (1945). Nel campionato dell’immediato riscatto sublimato dal piattone di Gigi Maggioni nello spareggio di Bergamo, il cucciolo di Giaguaro gioca poco (1 presenza) ed impara tanto dal suo collega. Che è anche amico e prezioso consigliere. La ritrovata Serie B regalerà a Luciano qualche gettone in più (9) e cementerà ulteriormente il rapporto con il titolare.
Emblematico al proposito l’episodio dell’Ardenza di Livorno di domenica 19 novembre 1967: il Monza è sotto (2-1), attacca e fatalmente si espone alle ripartenze dei padroni di casa. Ad una manciata di minuti dal termine Ciceri esce a valanga sui piedi di Nastasio ma prende nettamente la palla e Sbardella (il miglior fischietto italiano dell’epoca dopo Concetto Lo Bello) non fa una piega. Al 90’ calcio di punizione per gli ospiti dal limite dell’area: Beltrami tocca per Claudio Sala la cui conclusione si infrange sulla barriera labronica ma l’arbitro romano ordina la ripetizione perché un componente della barriera stessa si era mosso in anticipo. Tutti si aspettano lo stesso copione: Beltrami finta ancora il tocco a Sala ma appoggia a Strada che lascia partire bolide imparabile per il portiere del Livorno. Lo stadio è una bolgia, il fischio finale poco dopo ha l’effetto di un detonatore. La folla si riversa in campo, uno scalmanato riesce addirittura a schiaffeggiare il direttore di gara. I giocatori del Livorno si danno da fare per contenere la furia insensata dei loro tifosi, quelli del Monza scappano negli spogliatoi (da dove usciranno solo verso le 21 sui cellulari dei carabinieri). Tutti tranne Ciceri la cui porta è dalla parte opposta. Luciano dalla panchina potrebbe mettersi al sicuro con facilità ma vede l’amico in difficoltà, non ci pensa neanche un attimo e va verso di lui per aiutarlo. Il radiocronista Pancani dalla sua postazione racconterà che “i due portieri del Monza si sono aperti la via verso gli spogliatoi facendosi largo tra aggressori inferociti. Ciceri e Castellini hanno preso parecchi pugni ma tanti ne hanno anche dati usando i loro guantoni come quelli dei pugili …”
A fine stagione Ciceri passa al Modena e lascia al collega le responsabilità del titolare. L’inizio è promettente poi una grandinata di gol (5-0) nel derby di Como gli costa il posto. Liedholm subentra a Dazzi e si affida al piccolo Fattori (170 cm …), Luciano non si abbatte e lavora duramente in allenamento per farsi trovare pronto. Nell’estate del 1969 Gigi Radice torna in panca e gli (ri)affida senza esitazioni la maglia numero 1. In quel campionato esplode uno dei più grandi portieri italiani di tutti i tempi: Castellini gioca tutte le 38 partite, la difesa del Monza è la più forte del torneo (solo 19 reti al passivo), i biancorossi cullano il sogno della Serie A fino alla penultima giornata (sconfitta a Varese dai gol di Braida e Bettega dopo l’illusorio vantaggio di Caremi). Alcune parate di quella favolosa annata si sono tramandate di padre in figlio: istinto puro, agilità felina, personalità da vendere, coraggio e sicurezza in quantità industriale. Parecchie grandi società sguinzagliano i propri osservatori sulle tracce di quel giovane portiere che sta facendo miracoli a Monza. Orfeo Pianelli, presidente del Toro, brucia tutti sul tempo. Il cucciolo ha completato lo svezzamento ed è pronto a diventare Giaguaro. Sarà lui ad entrare nella leggenda granata con il mitico scudetto del ’76. Lui con tanti altri ex monzesi (Claudio e Patrizio Sala, Romano Cazzaniga) guidati da Gigi Radice. Uno dei motivi per i quali chi scrive ha il cuore calcistico diviso in due parti. Quella biancorossa per nascita, eredità paterna e senso di appartenenza, quella torinista per il fascino tragico di Superga, il passaggio dal Lambro al Po (e viceversa) di tanti grandi protagonisti e la decisiva spinta della commovente, pura, incrollabile fede granata di mia moglie. Si, ho il cuore calcistico diviso in due parti. Ed anche se non tutti lo capiscono sono felice che sia così …
Fiorenzo Dosso