Amarcord Biancorossi - Alfredo Magni e la leggenda del 'suo' grande Monza
C’è una frase di Romano Battaglia che è la sintesi perfetta dello spirito dei miei Amarcord: Non bisogna sprecare la nostra vita a rimpiangere le gioie del passato, ma essere riconoscenti per averle vissute. Ecco, io cerco con le mie povere parole di esternare gratitudine nei confronti di chi mi ha regalato emozioni belle, uniche, forti, indimenticabili: Thank you, mister Alfredo Magni!
Emozioni lunghe quasi undici anni (con un breve intervallo) e racchiuse – contraddizione clamorosa – tra due scialbi, brutti, anonimi 0-0 casalinghi: quello del 2 febbraio 1975 in Serie C con il Trento (suo debutto in vece del dimissionario David) e quello del 5 gennaio 1986 in Serie B con il Pescara (suo canto del cigno prima dell’esonero per far posto all’improponibile Carosi). In mezzo fuochi d’artificio, stagioni esaltanti, partite leggendarie, orgoglio biancorosso, adrenalina purissima. 341 panchine fra campionato e Coppa Italia. Come lui nessuno mai. Ero un bambino quando papà mi disse che il Monza aveva cambiato allenatore, che ormai quel campionato era andato perché il Piacenza aveva troppo vantaggio e che il nuovo tecnico avrebbe così avuto il tempo di preparare la squadra per l’anno successivo.
In effetti: il biondo di Missaglia fece un grande girone di ritorno, vinse la Coppa Italia di Serie C e – soprattutto – pose le basi per l’indimenticabile squadrone ’75-’76. Quello dei record in campionato e della Coppa AngloItaliana, quello di un gioco stratosferico, intenso, moderno. Quello della magica cantilena che un ragazzino in estasi mandò a memoria e che ancor oggi è la coperta di Linus di un uomo maturo: Terraneo, Vincenzi, Gamba, Casagrande, Michelazzi, Fasoli, Tosetto, Buriani, Braida, Ardemagni, Sanseverino. Occhi chiusi e brividi. La mano dell’allenatore una impronta, una garanzia, un marchio, un imprimatur. Si sale di livello – la Serie B è lunga, difficile, snervante – ma la matricola dalla maglia rossa con la banda verticale bianca è qualcosa di spettacolare, di travolgente, di unico. La visibilità è maggiore (do you remember i secondi tempi di una partita cadetta trasmessi su Rai2 verso le 18,10?) e tutta l’Italia calcistica scopre il gioco del Monza. Magni ha voluto praticamente la conferma in blocco dei suoi ragazzi (unico doloroso addio la partenza di Casagrande) e pochi inserimenti mirati (il ritorno di Antonelli, Pallavicini e De Nadai) ed ha il grande coraggio di riproporre anche nella categoria superiore gli stessi temi tecnici, tattici, agonistici che gli avevano permesso di dominare incontrastato in Serie C.
Il Monza ’76-’77 – a mio avviso – tocca vertici spettacolari mai più raggiunti. Mi scuso umilmente per la ripetizione ma mi è capitato solo quella volta di sentire l’allenatore di una squadra avversaria (Tribuiani, mister della Sambenedettese appena battuta 4-0 al Sada) dichiarare testualmente “Perché questo Monza non vada in A dovrebbe cadere il mondo”. Eppure … Eppure venne la maledetta Modena ‘77, il mondo restò in piedi e non si commosse per il pianto di un ragazzino disilluso. La competenza, la bravura, la passione di Alfredo si esaltarono nelle stagioni successive quando, secondo logica calcistica dei cicli che si esauriscono, cambiarono uomini e giocatori: il mister ci si metteva di buzzo buono sin dal ritiro, lavorava, verificava, studiava, provava e riprovava e riusciva – sempre – a trovare il bandolo della matassa. O la quadratura del cerchio, fate vobis. Per altri tre campionati di Serie B il Monza di Magni recitò ruoli di primissimo piano, di protagonista assoluto, di garanzia di qualità. Non è mia intenzione, né mi interessa qui entrare in quei discorsi (ai quali – detto comunque per inciso – non ho mai creduto) sulla ‘mancata volontà di salire’, preferisco – come sempre – chiudermi in me stesso e ricordare con malinconica e struggente nostalgia le mie lacrime dopo la maledetta Pistoia ’78 e la stramaledetta Bologna ’79. Noi non andremo mai in Serie A, lo sapeva anche il grande Renato Pozzetto.
Le strade di Magni e del Monza si rincrociarono qualche anno dopo. Dicembre 1983 i fasti delle stagioni belle erano ormai lontani, si lottava per la salvezza ed il tecnico dei tempi d’oro subentrò a Mazzetti. La missione non era delle più semplici ma il grande lavoro tecnico, tattico e psicologico di Alfredo accompagnò la fragile navicella biancorossa in porto proteggendola con sicurezza dalle burrasche. E l’anno successivo arrivò un nono posto, parte sinistra della classifica, cioè un’altra impresa griffata dal biondo di Missaglia. La storia si interruppe bruscamente ad inizio 1986, nel contesto di un calcio che stava inesorabilmente cambiando.
Non bisogna sprecare la nostra vita a rimpiangere le gioie del passato, ma essere riconoscenti per averle vissute. Solo, semplicemente, per sempre, con il cuore: Thank you, mister Alfredo Magni ! Artefice del Monza più bello che un ragazzino diventato uomo conserverà per sempre tra i suoi ricordi più intensi.
Fiorenzo Dosso