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Lazio-Monza 5-1

“Quando sei in una squadra, quando vivi in un ambiente, “quella” è la tua maglia. E cerchi sempre e comunque di onorarla”.

Il pensiero di Roberto Baggio racconta perfettamente la portata etica di un calciatore che milita in una squadra. Onorare la maglia è un dovere nei confronti delle società e dei loro sostenitori, una promessa che diventa patto con la firma sul contratto. 
Così era in passato, ma non sempre lo è nel presente. Pochissime (ma buone) bandiere, tantissimi giuramenti disattesi: il calcio ha mutato pelle, anteponendo sempre di più il business al gioco, i soldi alla passione, gli interessi ai tifosi. Perdendo di vista, e in molti casi dimenticando, la sua essenza, il fine ultimo ed escatologico: il divertimento e la felicità condivisa. Perché il calcio, come sottolinea puntualmente Marcelo Bielsa, “è di proprietà del popolo” e non deve rinnegare le sue origini. 
Proprietà, società, allenatori, giocatori vanno e vengono, le squadre restano e vivono nella fede incondizionata dei tifosi. Sempre, a prescindere dalle categorie. 
A Monza i tifosi biancorossi non fanno eccezione e, nonostante tutto, continuano a macinare chilometri al seguito dei Bagaj. 
Un atto d'amore dimostrato anche a Roma, in occasione della suggestiva trasferta contro la Lazio. 

La squadra del Monza, però, quell'attaccamento ai colori sembra averlo trascurato, sprofondando rovinosamente all'Olimpico per mano - aperta a 5 dita - dei biancocelesti. Risultato perentorio e una prestazione che non ammette scuse: i brianzoli perdono nella maniera peggiore, senza spirito e grinta, dichiarando - di fatto - la resa al 31' minuto, quando Marusic sigla la rete dell'1-0.

Un match che rispecchia i favori del pronostico, quasi scontato alla vigilia, e del momento attuale delle due squadre, con una Lazio in piena ascesa e un Monza in costante discesa.
Era già tutto previsto, cantava Riccardo Cocciante. Un brano (inserito nel meraviglioso e poetico Parthenope di Paolo Sorrentino), il cui titolo profuma di presagio azzeccato, con il 5-1 a elevare i biancocelesti in campionato.

Tutto previsto, ma non in questo modo, con un Monza completamente azzerato, spianato nell'agonismo e nel gioco, dimesso in campo e sulle nuvole nella testa, travolto da un black out mentale, morale e motivazionale. Inspiegabile.

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Onore ai tifosi biancorossi presenti all'Olimpico

Lazio dominante, Monza allo sbando

«Non passare il pallone lateralmente se non genera nulla».
Una regola che secondo Juanma Lillo, tecnico di culto e vice di Pep Guardiola al Manchester City, sta alla base del gioco di posizione. La posizione di ogni singolo calciatore è fondamentale per sviluppare la manovra, ma non è l'unico mezzo per raggiungere un certo obiettivo. Oltre lo spazio occupato, contano anche la postura, l’orientamento del corpo e la direzione, tutti elementi necessari a creare la superiorità, numerica e qualitativa, precetto di quel gioco posizione che, in tempi moderni, lo stesso Lillo definisce “juego de ubicación”.

La Lazio di Marco Baroni è fidelizzata a questa ideologia, un team che pratica un tipo di calcio avvolgente e completo, con tutti gli effettivi coinvolti nella circolazione di palla al fine di liberare lo spazio e, quindi, generare superiorità, lateralmente o centralmente.

Contro il Monza i biancocelesti dominano ininterrottamente, con la fame e la cattiveria di chi vuole ottenere il risultato in ogni modo: 1-4-2-3-1 offensivo a prevaricare l'1-3-4-2-1 brianzolo con il binomio pressing-riaggressione ad animare i meccanismi di squadra. 
La Lazio spinge con forza e dimora con regolarità nella la metà avversaria, con il Monza che arretra il suo baricentro e resiste per 30 minuti. Poi dal 31' il match si sblocca e diventa un monopolio assoluto della formazione di Baroni, coi biancorossi smarriti, fragili e impotenti.
Cross sul secondo palo, torre nel mezzo e tapin vincente: il vantaggio dei padroni di casa nasce da una transizione offensiva, culminata con il traversone di Guendouzi, l'assist di Castellanos e il gol di testa di Marusic.  

Al 32' Bocchetti toglie Martins, in difficoltà sulla corsia di Tavarez, e inserisce Kyriakopoulos. Tre minuti dopo, al 35', Dia accusa un problema muscolare e al suo posto entra Pedro, che comincia subito a prendere le misure alla retroguardia ospite.

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Cross sul secondo palo, torre nel mezzo e tapin vincente: l'1-0 nasce dalla riaggressione immediata della Lazio, culminata con il traversone di Guendouzi, l'assist di Castellanos e il gol di testa di Marusic (lasciato libero da Palacios) - Foto: DAZN

Ripresa (di nuovo) a senso unico: la Lazio getta l'asfalto sul Monza

Nel secondo tempo lo scenario rimane inalterato, coi biancocelesti a comandare gioco, possesso palla e occasioni.
Il raddoppio arriva al 57' con un'azione costruita a regola d'arte dagli uomini di Baroni. Svuotare il proprio spazio e liberarlo ai compagni: l'azione del 2-0 è sviluppata secondo questo principio, con Castellanos che, spalle alla porta, porta fuori linea Izzo e premia l'inserimento di Pedro, slacciato dalla marcatura di Bianco e libero di concludere in rete. 
Il Monza subisce il raddoppio, perde le distanze e crolla miseramente, incamerando una delle più classiche imbarcate.   
Al 63' Castellanos cala il tris, Pedro firma poker e doppietta personale al 77' e, infine, Dele-Bashiru all'88' cala la cinquina. Tra il quarto e il quinto gol biancoceleste il Monza trova il gol della bandiera all'88 con Sensi su rigore.
Una scoppola devastante per i brianzoli, non pervenuti in fase offensiva, con un solo tiro effettuato in 90' (per giunta fuori dallo specchio della porta), e umiliati da una squadra, quella di Baroni, volitiva e spietata. 

Dopo 3' di recupero, Aureliano manda tutti sotto la doccia: Lazio-Monza termina 5-1.

Per Salvatore Bocchetti è la settima sconfitta in sei gare, un bilancio triste e impietoso che costerà al tecnico napoletano la panchina.

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Svuotare il proprio spazio e liberarlo ai compagni: l'azione del 2-0 della Lazio, con Castellanos che arretra spalle alla porta e premia l'inserimento verso la porta di Pedro, slacciato dalla marcatura di Bianco e libero di concludere in rete - Foto: DAZN

Lazio nel segno di Baroni

Nomen omen. Un cognome, una garanzia. 
Marco Baroni è l’artefice della metamorfosi della Lazio, un'armata che “gioca su ogni pallone e quindi su un pallone”, che non abbassa mai la guardia e affronta tutte le gare con lo stesso atteggiamento. Perché l’importante non è vincere o perdere nel risultato, ma “non perdere mai nella prestazione”. E con un livello così intenso di gioco - di pressione, sacrificio, aggressione e riaggressione, con la ricerca della superiorità sopra palla, lo spirito solidale della squadra, l’estrema applicazione di ciascun effettivo a interpretare le due fasi come un’unica fase, possesso e non possesso aggregati alle transizioni - la Lazio ha ingranato le marce e ha svoltato, aggiungendo valore, qualità e identità.
Ma il vero X-Factor dei biancocelesti è la mentalità, decisa e decisiva, edificata da un allenatore che, dopo anni di imprese dal basso e miracoli salvezza, ha trasmesso il suo credo con naturalezza e coinvolgimento, ad alti e altissimi livelli, con un’ottima classifica in Serie A e il primo posto conquistato nel girone di Europa League.
Come? Con prove energiche, sangue freddo e cuore caldo, lucidità e intelligenza, coltello tra i denti e una carica micidiale, slancio atletico e ritmi tamburellanti, strategia a scavallare la tattica, armonia nel gioco e nel calcio miscelato dai giocatori.

La vittoria contro il Monza è l'ennesima conferma dell'operato di un tecnico capace di rinnovare e rinnovarsi, toccando le corde giuste della squadra e trasferendo quell'umiltà che è l'ingrediente fondamentale per raggiungere il successo. Ad ogni livello. 

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L'allenatore della Lazio Marco Baroni

Abisso totale biancorosso

La parola che descrive al meglio Lazio-Monza è “totale”.
Totale, come il calcio impiantato da Marco Baroni nella sua Lazio, una squadra che non guarda in faccia a nessuno, aggiunge intensità e sacrificio e produce gioco con impressionante facilità. Manita sonora, prestazione autorevole e successo ultra meritato. 

Totale, come il tracollo imbarazzante del Monza. Sconfitta Olimpica senza appello, lapalissiana, lampante, inequivocabile, senza alcun decoro e motivazione. Una caduta libera, sempre più evidente e decisa, certificata da uno scollamento generale, assenze di idee e reazione, orgoglio insabbiato e un cammino agonizzante che fa male al cuore. 
Il Monza non perviene e incappa in una disfatta ineluttabile, ultimo tassello di un poema che, ormai, ha assunto la fisionomia di un'Odissea nera, dove Itaca, terra della salvezza, è un miraggio lontano per la nave biancorossa risucchiata dal mare in burrasca.

Una nave che ha smarrito la rotta e imbarcato acqua, senza una direzione stabile e coerente, con scelte e contro scelte che lasciano all'orizzonte una caterva di interrogativi. Last but non least, l'esonero di Salvatore Bocchetti, ingaggiato lo scorso 23 dicembre con un contratto fino al 2027 al posto di Alessandro Nesta, tornato nuovamente sulla panchina biancorossa a un mese e mezzo dal suo esonero. Una storia che sembra estratta dai romanzi d'appendice o, sommariamente, dal celebre Il Conte di Montecristo. 
Non siamo a Marsiglia ma a Monza, la restaurazione borbonica lascia il posto al decadentismo brianzolo. Libero dopo 14 anni/46 giorni di prigionia/esilio, Edmond Dantes/Alessandro Nesta riabbraccia il suo posto nel mondo ma si accorge che quel mondo è cambiato, con la sua amata Mercedes/AC Monza che nel frattempo si è sposata con Fernand Mondego/Salvatore Bocchetti. Quel matrimonio, però, è destinato a sciogliersi quando Mercedes/Monza riconosce “l'amore” di un tempo, Dantes/Nesta. Ma nell'opera di Alexandre Dumas (padre) non c'è spazio per un happy ending, poiché il destino è ormai segnato dalla sofferenza. E nel caso del Monza la sofferenza è quella dei tifosi, affranti da una classifica quasi del tutto compromessa (ultimo posto a 13 punti) e da una situazione che fa calare l'ombra sul presente e le prospettive future. 

Una stagione nata nell’incertezza e proseguita nella confusione, con la macchina brianzola deragliata fuori strada e abbandonata al suo destino. 

Ora, nel rispetto dei tifosi e della maglia, occorre ottemperare a un dovere inderogabile e tassativo: difendere la dignità, con senso compiuto e professionalità nelle ultime 14 partite. Senza dimenticare il decoro, l'integrità e l'onore. Perché, come diceva Arthur Schopenhauer: “la gloria la si deve acquistare, l'onore invece basta non perderlo”.

A cura di Andrea Rurali