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Il difensore brasiliano del Monza Marlon è stato intervistato dal quotidiano "La Repubblica" alla vigilia della sfida dell'Olimpico contro la Roma. Queste le dichiarazioni nello specifico dell'ex Barcellona e Nizza: Che emozione prova a fare parte di questa avventura? «È un onore. È esattamente il progetto ambizioso che cercavo in questo momento della mia carriera e della mia vita». Che rapporto con Stroppa e i nuovi compagni ? «Con Stroppa ci conosciamo da poche settimane ma il legame è già profondo. Gli altri sono tutti bravi ragazzi. Essere nato e cresciuto in una favela mi ha insegnato a farmi in fretta un'idea di chi ho di fronte. Si sta creando una bella rosa, ci aiuta il fatto che praticamente tutti parlino italiano». Dove vuole arrivare il Monza? «Vogliamo con tutta la nostra forza restare in Serie A». Si aspettava un avvio di campionato così duro? «Sì, conosco la Serie A. Qui ogni partita è una lotta. L’atteggiamento è già quello giusto. Ora dobbiamo fare un salto di qualità, i risultati arriveranno». Cosa le ha detto Galliani quando lo ha incontrato? «Che dobbiamo inseguire il decimo posto. Qui al centro sportivo è pieno di cartelli con scritto un messaggio chiaro: il Monza ha impiegato 110 anni ad arrivare in Serie A, non possiamo buttare via tutto in una stagione soltanto». E Berlusconi? «L’ho conosciuto in occasione della prima di campionato contro il Torino. Ci ha detto di ricordare sempre che chi ci crede combatte, supera gli ostacoli e vince. Anche questa massima è scritta allo stadio, sulla parete vicino allo spogliatoio». Lei invece dov’è cresciuto? «In una favela fra Bangu e Vila Aliança, a ovest di Rio. Tifavo Botafogo, come mio padre, poi ho giocato per la Fluminense e oggi è la mia squadra». Lei ha tre figli, Pedro, Joao Miguel Santos e Bernardo. Eravate insieme in Ucraina allo scoppio della guerra? «Sì erano con me. Il più grande ha quattro anni. Mentre i carri armati russi entravano nel Paese, giocava e rideva come sempre. Correva e disegnava, ignaro di tutto. Per me e mia moglie è stato prezioso, ci ha aiutato a non disperarci». Quanto tempo ha passato in Ucraina dopo l’inizio del conflitto? «Quattro giorni, poi noi stranieri dello Shakhtar abbiamo potuto lasciare l’hotel in cui vivevamo, a Kiev. Abbiamo abbandonato le nostre auto vicino alla stazione dei treni con le chiavi posate sugli pneumatici, di modo che le famiglie che avevano bisogno potessero prenderle. In pratica le abbiamo regalate». Qualche giorno fa lei ha pubblicato su Instagram un'immagine della bandiera ucraina, per la ricorrenza dell'indipendenza nazionale. Con i suoi compagni dello Shakhtar è rimasto in contatto? «Certo. In base alle loro indicazioni faccio donazioni a sostegno della causa ucraina. Hanno anche creato un fondo per pagare gli stipendi agli impiegati del club, dai magazzinieri alle segretarie, a cui contribuisco». In Ucraina il campionato, fra mille difficoltà, è ricominciato, con le partite che si giocano nell’Ovest del Paese. Il fatto che molti calciatori stranieri abbiano lasciato il Paese è stato criticato dai tifosi. «Li capisco, ma ho fatto la mia scelta. Dormivo tre ore a notte, ho avuto paura per la mia famiglia. Penso sia umano. E l'Ucraina non la dimentico. Un giorno tornerò, non so in che ruolo. Sono legatissimo alla società, alla gente, ai miei ex compagni». Cosa le raccontano? «Dei palazzi bombardati. Degli anziani parenti che non vogliono lasciare le proprie case. Ma mi dicono anche che sono contenti di tornare a giocare, per restituire un po’ di normalità al loro popolo. Alcuni di loro all’inizio della guerra sono partiti volontari per il fronte, ma con loro il governo è stato chiaro: per lo spirito nazionale, ci servite vivi, dentro uno stadio a tirare calci al pallone». Ha giocato in Brasile, Spagna, Francia, Italia, Ucraina. In cosa si distingue la Serie A rispetto agli altri campionati? «La tattica. Per noi difensori, in particolare, è un’università». I suoi idoli chi sono? «Sergio Ramos e soprattutto Thiago Silva. Nel giorno in cui ho firmato il contratto con il Monza, a casa di Galliani, il dottore ha chiamato in diretta Thiago. Mi ha detto che il Monza era la scelta giusta». Lei ha esordito al Barcellona in Champions League sostituendo Piqué a ventidue anni. Poi ha accettato il trasferimento al Nizza. Rifarebbe le scelte che ha fatto? «Non mi pento di nulla, ma con la maturità di oggi non andrei nel Barcellona B a vent'anni. Le squadre satellite, come anche la Juve Under 23, sono progetti nobili. Ma per un giovane giocatore penso sia meglio andare a giocare in un club magari meno prestigioso, ma in un campionato di prima fascia. Solo giocando con i più forti si cresce davvero». foto AC Monza