Derby indigesto, abisso totale e via crucis verso la B: contro il Como un Monza senza anima e cuore (1-3)
Un'agonia senza fine per il Monza, sconfitto in casa dal Como nel derby. Il vantaggio di Mota illude, poi i lariani rimontano e calano il tris. Prestazione senza carattere dei brianzoli. L'analisi del match.

“Non dimenticare mai che giochi con la tua anima oltre che col tuo corpo”.
Parole sante, da scolpire nella pietra. Kareem Abdul-Jabbar, leggenda NBA dei Los Angeles Lakers non sbagliava affatto quando sottolineava la rilevanza dello spirito, e quindi della personalità e della testa, in ogni disciplina.
Spirito che al Monza manca da troppo tempo, risucchiato progressivamente nella spirale di una negatività che, giornata dopo giornata, ha dilapidato la stagione.
Nel centesimo derby col Como, il primo in Serie A tra le mura brianzole e il più sentito dai tifosi biancorossi, la squadra di Nesta capitola in malo modo incappando in una prova disastrosa, quasi fantozziana, che poco si addice al concetto di dignità suggerito da Aristotele. Perché “la dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli”.
1-3 virulento dei lariani e una sensazione di infinita amarezza: il Monza esce di scena nella maniera peggiore possibile, sconfessando il credo di Silvio Berlusconi ("chi ci crede combatte, chi ci crede supera tutti gli ostacoli, chi ci crede vince") e un progetto che, ad oggi, è un gigantesco punto interrogativo.

Illusioni perdute, biancorossi in ginocchio
“Per sconfiggere la spada serve la piuma".
A pronunciare questa frase è Paco Seirul·lo, ex direttore metodologico del Barcellona e tra i grandi pensatori del gioco moderno.
Come scrive Nan Moll (all'epoca direttore metodico del Trento e ora allenatore del Perugia U19) sul sito di Filippo Galli: “tale affermazione definisce, infatti, l’importanza di un cambiamento di paradigma, un paradigma in cui l’agilità, la variabilità, l’adattabilità e la complessità risultano fondamentali. Mentre la spada colpisce e distrugge, limitando il processo e le esperienze, la piuma si adatta all’ambiente e lo modifica”.
Adattarsi e non opporsi al cambiamento: una via maestra che, tradotta in termini calcistici, evidenzia l'importanza del lavoro nel tempo e con una visione rispetto al piano semplice ed immediato. Un principio che, nell'arco della sua carriera, Seirul-lo ha trasferito ai ragazzi de “La Masia” e a un giovanissimo Cesc Fabregas, che militò nella cantera blaugrana fino a 16 anni: “Il calcio è tempo, il tempo è tutto poiché viene modificato in continuazione. Il tempo definisce le relazioni/interazioni con la palla, con i giocatori, la mobilità (MCP-MSP), la mobilità degli avversari”.
Monza-Como va proprio in questa direzione, con il tempo a premiare alla lunga chi, nel corso dei due tempi, ha argomentato meglio il gioco sul rettangolo verde, applicando idee, organizzazione e concretezza.
Nesta si affida all'1-3-5-2, con Turati tra i pali, Pedro, Izzo e D'Ambrosio nel terzetto arretrato, Ciurria, Bianco e Akpa-Akpro nel mezzo, Birindelli e Kyriakopoulos sulle fasce, Mota e Keita in avanti.
Fabregas opta per l'1-4-2-3-1 di palleggio e qualità: Butez in porta, linea a 4 composta da Vojvoda, Goldaniga, Kempf e Valle, mediana educata con Caqueret e Da Cunha, Diao, Paz e Ikone nel tridente di sotto punte dietro Douvikas.
Il Monza parte deciso e al 4' trova il vantaggio, con un'azione tanto semplice quanto efficace. Attacco della profondità, palla a scavalcare la difesa avversaria alle spalle, duello contro uno e conclusione: a sinistra Kyriakopoulos lancia in verticale Dany Mota che prima prende posizione, poi sfrutta l'indecisione di Kempf e infine batte Butez con un destro rasoterra sul secondo palo.
L'1-0 sembra la premessa di un derby all'insegna dei colori biancorossi, ma è solo una delle tante “Illusioni perdute” (citando il romanzo di Honoré de Balzac), fuoco fatuo e episodio isolato in una partita ribaltata dai lariani.
Al 16' Ikonè pareggia i conti, con una percussione in area che sorprende i difensori brianzoli e fulmina Turati con troppa facilità.
La squadra di Fabregas prende il sopravvento, placa il Monza e lo disorienta con una fitta rete di passaggi, in lungo e in largo, a creare spazi e azioni pungenti.
Pressione e riaggressione alimentano il gioco del Como, che alza gradualmente il baricentro accettando il rischio di subire ripartenze in transizione. I frutti del possesso palla generano al 39' il gol dell'1-2. Movimento di Caqueret e filtrante in area del francese per Diao, che sfrutta la svirgolata di Pedro e la non opposizione di Birindelli per trafiggere di destro Turati.
I lariani sono si fermano e tra il 40' e il 45'+1' costruiscono due occasioni enormi, da recupero immediato del pallone nella trequarti avversaria, prima con Ikonè e Douvikas e poi col greco.

Melina e melassa, così non si passa
La ripresa si apre esattamente come la prima frazione di gioco, con il Monza che al 49', su ottima combinazione Keita-Ciurria, sfiora il pareggio. Butez è reattivo tra i pali e respinge sia conclusione del 17 biancorosso sia il colpo di testa di Mota deviando il pallone in angolo.
Sul capovolgimento di fronte il Como cala il tris. In conduzione sulla trequarti, Caqueret appoggia a destra per Vojvoda che, completamente indisturbato, lascia partire un missile terra aria che si insacca in rete. L'assenza di pressione e la mancata uscita in marcatura dei difensori biancorossi sono un invito a nozze per l'ex terzino del Torino, libero di calciare con una buona visuale e diversi metri a disposizione.
In palese difficoltà mentale, il Monza cala e sprofonda, privo di qualsiasi energia psicofisica e ferito nel morale.
Nesta muove le pedine, dentro Gagliardini, Castrovilli e Caldirola, ma non scuote la squadra, più preoccupata a non prendere il quarto gol che ad accorciare le distanze per rientrare nel match.
Un'impasse evidente, causata dall'incapacità di determinare i risultati e di riversare l'intensità dagli allenamenti - come dichiarato Luca Caldirola, sincero e lucidissimo nell'analizzare l'attuale situazione - alle partite, polverizzando in lavoro settimanale in 90 minuti.
Nell'ultimo quinto di gara i biancorossi si avventurano in melina conservativa che diventa melassa in attesa del triplice fischio di Collu.
In Brianza a far festa sono i lariani: Monza-Como finisce 1-3.

Disco inferno nel silenzio assordante
20esima sconfitta stagionale fanalino di coda del campionato: numeri spaventosi, che Antonio Conte definirebbe “agghiaccianti”. Numeri che certificano limiti, carenze e debolezze di una squadra che - al netto di episodi arbitrali, infortuni, calciomercato al ribasso - merita l'ultimo posto in classifica. E non c'è sfortuna che tenga, perché quando alla 30esima giornata il piatto piange ancora e offre una pietanza misera di 15 punti significa che le colpe sono attribuibili a se stessi, ai molteplici sbagli e alle cantonate gestionali. Senza tralasciare gli errori, dal vertice alla base della piramide, in campo e fuori, determinanti nell'economia del campionato, figli della responsabilità di tutti, nessuno escluso.
A ribadirlo nel post-partita è lo stesso Alessandro Nesta, sempre il primo a metterci la faccia, ad andare in avanscoperta a chiedere scusa ai tifosi sotto la curva, a comunicare con la grande onestà che lo contraddistingue: “è giusto prendersi le proprie responsabilità, se si affonda, affondiamo tutti insieme”.
Un conto è retrocedere, e ci può stare (vedi il Sassuolo lo scorso anno). Un conto è farlo mollando gli ormeggi inspiegabilmente, staccando la spina dell’atteggiamento e dello spirito, calpestando il cuore e le emozioni di chi sugli spalti non ha smesso di tifare.
Si può perdere un derby, 1-3 per il Como, ma non senza combattere fino alla fine, subendo gli eventi e incassando i colpi come un pugile ridotto all’angolo, con fare remissivo e senza carattere.
Perché il punto non è la sconfitta, il pareggio o la vittoria.
Il punto non è tornare in Serie B e riabbracciare una categoria “amica” ai colori biancorossi, ma farlo rinunciando a lottare nel vuoto assordante di una stagione sconsacrata dal grande sogno di un Presidente, Silvio Berlusconi, che al cospetto di tale situazione, avrebbe ribaltato il mondo intero.
Ormai il dado è tratto, con l’ultimo posto in classifica e un tracollo in barba al decoro, all’orgoglio, all’amor proprio, alla dignità, all’onore verso la maglia e al senso della competizione sportiva.
Nel giro di tre anni, “Destinazione Paradiso” ha lasciato il posto a “Disco Inferno”, togliendo addirittura la musica perché a rimbombare in ogni vicolo della Brianza è il silenzio. Quello totale e assordante che fa più male di una scomoda parola.
Restano ancora 7 partite, una via crucis pasquale di sofferenza e pura agonia: l'unica speranza è riposta nella matematica, con l'augurio che possa ufficializzare presto la retrocessione e chiudere una delle annate più buie della storia recente del Monza.
A cura di Andrea Rurali