Amarcord Biancorossi. Quel (non) fischio che fece calare il sipario sugli anni del 'mio' Monza più bello
Un episodio particolare. Insolito. Incredibile. C’ero e l'ho vissuto dalla gradinata centrale del vecchio Sada. Un episodio che metaforicamente mise fine alla leggendaria epopea degli anni '70
Quel fischio non ci fu. Anche se lo sentirono in tanti. Quel fischio invece c’è stato. Forse. La cosa certa è che quel ‘non fischio’ segnò – di fatto – la fine del magico Monza che aveva fatto innamorare e sognare nella seconda metà degli anni ’70.
Stagione 1980-81: dopo la quarta delusione consecutiva sul filo di lana Alfredo Magni raggiunge (con finale amarissimo) in quel di Brescia la Serie A che aveva strameritato a Monza. Al vertice della società Valentino Giambelli rileva il presidentissimo Giovanni Cappelletti. Il geometra di Omate affida – con molta sorpresa – a Sergio Carpanesi una squadra che nelle intenzioni dovrebbe navigare nel mare magno del centroclassifica. Ma nella stagione che segue lo scandalo del calcio scommesse la Serie B è particolarmente tosta con squadre blasonate come Milan e Lazio retrocesse dalla giustizia sportiva. A metà girone d’andata i biancorossi non hanno ancora vinto (5 pareggi e 5 sconfitte) e sarebbero desolatamente ultimi se Taranto e Palermo non avessero il fardello dei 5 punti di penalizzazione. Giambelli corre ai ripari e – con ulteriore sorpresa – chiama al capezzale del grave malato un medico esperto di cadetteria ma dal curriculum non proprio rassicurante: Lamberto Giorgis è infatti reduce dagli esoneri di Novara e Sampdoria, inframezzati dal discreto settimo posto a Lecce. Il tecnico di Città di Castello debutta con una sconfitta a Taranto poi regala qualche illusione: caparbia doppia rimonta al Sada sulla capolista Lazio e blitz a Bergamo firmato dalla coppia Massaro-Monelli. Una serie di pareggi ed il ko interno con il Milan chiudono un girone d’andata deprimente: 1 solo successo, 11 pari e 7 sconfitte, penultimo posto con 13 punti. Il fatto che davanti – nel breve volgere di 3 lunghezze – ci siano 6 squadre regala (pochi) sprazzi di (folle ed insensata) speranza. Il ritorno si apre nel segno delle X (in casa con Sampdoria e Pescara ed in trasferta a Pisa). Che muovono la classifica e regalano una serie di ultime sigarette al condannato a morte. Il 1 marzo a Rimini un gol di Tatti fa addirittura sperare nel miracolo. Il colpaccio al ‘Romeo Neri’ riporta il Monza nel mischione in lotta per salvare la pelle. Si intravede un briciolo di (pallida) luce. Ma la squadra è davvero modesta. Molto. Non solo dal punto di vista tecnico. Incredibilmente illuminante il fatto che Ronco & compagni non siano ancora riusciti – dopo 6 mesi di campionato – a vincere al Sada! il mitico, inespugnabile fortino dei tempi recenti del Borussia di Brianza è scaduto a vecchio e triste pollaio da dove tutti se ne tornano con punti preziosi. L’8 marzo la Spal di Titta Rota passa autorevolmente spegnendo nel breve volgere di una settimana le (scarse) illusioni biancorosse nate in riviera.
E si arriva a domenica 15 marzo, seconda gara casalinga consecutiva: ospite il Genoa di Gigi Simoni. Che sta rincorrendo il treno promozione. E che non ha ancora vinto lontano da Marassi. La sfida è crocevia delicato: per motivi opposti le due squadre non hanno alternative ai 2 punti (bottino delle vittorie dell’epoca). Giorgis, conscio dei propri limiti e della altrui superiorità complessiva, sceglie la prudenza infoltendo il centrocampo. Gli ospiti – supportati come sempre da un gran numero di innamorati cronici – sono psicologicamente bloccati dalla paura di compromettere (quasi) irreparabilmente la stagione. Il primo tempo è brutto e noioso. Il Genoa fa la partita, il Monza regge senza affanni. I due portieri sono i classici spettatori non paganti. Ad inizio ripresa lo sliding door. Incredibile. Clamoroso. Indimenticabile. Lo racconto come l’ho vissuto io dalla gradinata centrale del Sada. Possesso palla del Genoa nella metà campo biancorossa. La sfera arriva al numero 9 rossoblù, Russo, e si fermano tutti come nel classico caso in cui un fischio dell’arbitro interrompe l’azione. Lo stesso attaccante genoano, palla al piede, si blocca e si guarda intorno. Poi prosegue, un paio di passi e – con poca convinzione – tira verso la porta del Monza. Cavalieri (un ex) non prova nemmeno ad opporsi convinto che il gioco sia fermo. Ricordo un paio di secondi di silenzio irreale e poi il braccio dell’arbitro Lanese che indica il centrocampo. Il fischio (che in tanti udirono nitidamente sia in campo che in tribuna) non era arrivato da lui, ergo gol valido. Da lì il Genoa – che raddoppierà con Caneo – trae linfa vitale che lo porterà alla promozione, da lì il Monza precipita in un finale di stagione a dir poco vergognoso: ultimo posto e retrocessione. In quel disastroso campionato c’erano, in tutta onestà, già stati parecchi altri segnali negativi ma alla mia personale sensibilità piace collegare quel clamoroso e sfortunato episodio alla amarissima fine di una epopea leggendaria che dal 1975 aveva visto esplodere una piccola fantastica squadra con la maglia biancorossa. Una squadra che per anni si era fatta onore nella durissima Serie B arrivando sempre ad un passo dal sogno chiamato Serie A. Mai raggiunto perché regolarmente e maledettamente sfumato ogni volta all’ultima curva. Ecco, quel (non) fischio fece definitivamente calare il sipario.
Monza, Stadio Sada. Domenica 15 marzo 1981
MONZA-GENOA 0-2 (0-0)
MARCATORI: Russo (G) al 2’ st; Caneo (G) al 35’ st
MONZA: Cavalieri, Motta, Viganò, Acerbis, Cesario, Pallavicini, Acanfora, Massaro, Blangero (18’ st Mastalli), Ronco, Monelli. A disp.: Monzio, Stanzione, Maselli, Tatti. All.: Giorgis
GENOA: Martina, Gorin, Testoni, Caneo, Nela, Odorizzi, Manueli (18’ st Lorini), Corti, Russo, Manfrin, Todesco. A disp.: Favaro, Lanza, Bosetti, F.Conti. All.: Simoni
ARBITRO: Lanese di Messina
Fiorenzo Dosso