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Arriva l’Empoli, lanciatissima capolista. Mente e cuore tornano indietro di 25 anni. Il razionale per ribadire che lo sport ed il campo premiano sempre il più forte, il sentimentale per ricordare che gratitudine, riconoscenza, ammirazione ed amicizia vanno al di là del risultato. Sempre. Almeno per me.

Stagione 1995-96, Serie C1 Girone A: il Monza povero ma bello – e questa volta il copyright è tutto mio – di Simone Boldini vede svanire i sogni di promozione nella semifinale play-off (doppia sconfitta di misura sia al Brianteo che al Castellani) contro l’Empoli di Spalletti. I toscani avevano chiuso il campionato con ben 11 punti di vantaggio sui biancorossi ai danni dei quali si erano pure aggiudicati la finale di Coppa Italia di categoria (stessa sequenza di risultati). Fatto fuori il Como nella finale secca, gli azzurri avevano aperto un esaltante ciclo che li avrebbe portati dodici mesi dopo in A e ad un fantastico piazzamento a centro classifica nella massima serie successiva. Insomma, tre anni clamorosi. Con le basi proprio in quella stagione. Basi che rispondevano ai nomi di Bianconi, Daniele Baldini, Birindelli, Martusciello, Carmine Esposito, Pane. Gente partita dalla Serie C che tanto bene farà non solo tra i cadetti ma anche nel campionato considerato più difficile del mondo.

Per quanto mi riguarda: in quella stagione sboccia il giornalista polemico che sono considerato da cinque lustri. Perché – ora che è abbondantemente calata la prescrizione posso confessarlo – in quei mesi cominciai a dubitare sulla competenza di alcuni tifosi e di certa stampa. Che, comprensibilmente i primi quanto incredibilmente la seconda, avevano eletto ad eroi alcuni normali giocatori di categoria e nulla più. Prova ne sia che di quella rosa gli unici ad aver successivamente calcato i campi della serie A furono il – peraltro deludente – portiere Castellazzi e Tonino Asta. Personalmente attribuivo invece i meriti del campionato di vertice del Monza soprattutto al grande lavoro del mister (che, per inciso, aveva voluto Asta in biancorosso dopo averlo allenato nei dilettanti del Saronno). Il Boldo – per il secondo anno consecutivo – dovette fare i conti con il braccino corto di Giambelli. E – per il secondo anno consecutivo – portò ai play off una squadra giovane presa per mano dal totem morale e tecnico di nome Fulvio Saini. Il capitano aveva subito sposato la filosofia ed il credo calcistico del tecnico al quale salvò la panca dopo pochi mesi quando una pazzesca sconfitta interna con il Bologna di Ulivieri (una decina di palle gol sprecate) aveva indotto Giambelli alle classiche riflessioni del lunedì. Il Saio toccò le corde giuste: “Presidente, in tanti anni di carriera non ho mai lavorato tanto e bene come con questo allenatore. Lo faccia continuare ed i risultati arriveranno.” Ed anche il DS Terraneo onestamente ne perorò la causa. Molto meno influenti, le mie opinioni coincidevano perfettamente e – quando potevo – non perdevo occasione per sottolinearlo dalle colonne del Corriere dello Sport. Boldini stava sul campo ore ed ore, faceva ripetere esercizi e schemi fino al sopraggiungere dell’oscurità, proponeva un calcio sempre offensivo e mai speculativo, non tralasciava di ripassare i fondamentali tecnici.

Insomma, per due stagioni consecutive il Monza di Simone Boldini fece divertire e – pur essendo meno quotata e meno strutturata di altre antagoniste – centrò puntualmente i play-off. Il rimpianto maggiore nella prima edizione quando una ingenuità clamorosa in un singolo episodio costò dolorosissima eliminazione a Fiorenzuola. Decisamente ed onestamente superiore, invece quell'Empoli: nulla da dire. Nata in quel biennio, la mia stima nei confronti del tecnico si completò presto in sincera amicizia umana. Ho trascorso, in compagnia di Mario Bonati, piacevolissime serate nella sua magnifica location in riva al lago ad Eupilio parlando di calcio sino a notte fonda ed avendo la fortuna di conoscere la sua splendida famiglia: la moglie, perché dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna, e le tre figlie, ‘bimbe’ forever alla faccia del trascorrere del tempo. Mi incazzai di brutto quando – qualche anno dopo – la seconda esperienza biancorossa del Boldo si concluse con un allucinante esonero: l’imbarbarimento progressivo aveva portato a Monzello altri presidenti (ehm … ehm), altri DS (vergognoso lo scaricabarile di Nereo Bonato) e – soprattutto – altri capitani: quello dell’epoca nulla aveva in comune con il carisma e la pulizia morale di Saini. Io e Mario, tifosi di Simone Boldini, ci siamo poi fatti un paio di trasferte in Svizzera quando il mister guidò il Lugano e sfiorò il ritorno nella massima serie elvetica. Poi altre cene ad Eupilio ed altre notti di quelle piene di storie di campo.

Di quelle notti che mi sono mancate e che mi piacerebbe rivivere: perché fatalmente il tempo toglie occasioni mentre fortunatamente i ricordi restituiscono emozioni. Emozioni che mi ha regalato il Monza, povero ma bello, di Simone Boldini. Un grande allenatore, per il mio modo di intendere il calcio. Dove il risultato è la somma di mille fattori e non è tutto. Un mio amico. Dove amicizia non è vedersi spesso ma essere sempre orgogliosi di averla costruita.

Fiorenzo Dosso