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Il gol in rovesciata di Dany Mota in Genoa-Monza 2-3 - Foto Giancarlo Favaro

Il calcio è un linguaggio con i suoi poeti e prosatori“.
Così Pier Paolo Pasolini, tra i più influenti intellettuali del XX secolo, definiva il mondo del pallone in un articolo pubblicato su “Il Giorno” nel 1971. Poeti che esaltano il bello attraverso i propri movimenti, senza carta e penna, ma con tocchi vellutati al pallone, stigmatizzando il senso – del tutto sciolto e personale – di un’opera d’arte.

Segnare è un gesto autentico, il calcio in prosa vive sul gradino più alto del podio, quello intoccabile e puro, un Pantheon in cui non sono ammesse critiche ma solo parole d’encomio o canti celebrativi. Come quelli leopardiani, attraversati dalla febbrile ispirazione del “Giovane favoloso” di Recanati nel sublime “A un vincitore nel pallone”.

“Di gloria il viso e la gioconda voce,
Garzon bennato, apprendi,
E quanto al femminile ozio sovrasti
La sudata virtude.
Attendi attendi,
Magnanimo campion (s’alla veloce
Piena degli anni il tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome), attendi e il core
Movi ad alto desio.”
(estratto da “Canti”, V, di Giacomo Leopardi)

Versi carichi d’enfasi a punteggiare il racconto di uno sport primitivo e arcaico, lontano antenato del calcio di oggi ma legato da un’essenza comune: la libertà espressiva, che genera passione, licenza creativa, fascinazione, lirismo. Quella che sottolineava Johan Cruijff e intercettava Gianni Brera nei suoi scritti. La sintesi massima del calcio è il gol, apice del gioco, l’atto più entusiasmante che, citando il sommo Dante Alighieri, “move il sole e l’altre stelle”.