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“Vincere non è importante: è l'unica cosa che conta".

Slogan, aforisma, claim motivazionale. Più che una frase, una parabola ad effetto. Tonale e concisa, con un messaggio chiaro che abbraccia, probabilmente, l'escatologia del calcio. 
Il primo a pronunciarla fu Henry Russel Sanders, allenatore UCLA (squadra di football americano) durante una sessione di educazione fisica al California Polytechnic State University di San Luis Obispo nel 1950.
Le parole del coach cresciuto a Nashville, Tennessee, divennero famose nell'ambiente sportivo statunitense, tanto da essere riprese in NFL dal tecnico di Green Bay Packers Vince Lombardi e persino oltreoceano, in Italia, alla corte della Juventus post Platini di fine anni '80. L'allora capo ufficio stampa bianconero, Pietro Bianco suggerì quella frase al Presidente Giampiero Boniperti che, dopo un periodo di profonda crisi, per sensibilizzare la squadra guidata da Dino Zoff, la citò in un'intervista nel pre-campionato. Da quel momento diventò il motto della Vecchia Signora, trasmesso poi a Del Piero e alle generazioni future.

Un'espressione che, indipendentemente dai colori o dal tifo, assume una valenza comune e intercetta la delicata situazione del Monza, battuto 2-1 dalla Juventus all'U-Power Stadium.
Un'altra battuta d'arresto per i brianzoli, sempre più in crisi di risultati e fanalino di coda della Serie A, alla ricerca di quelle vittorie che sono le uniche cose che contano per guadagnare punti e scalare posizioni.

Partita equilibrata e in bilico fino all'ultimo, con i biancorossi che azzeccano l'approccio e, con fare attivo e propositivo, provano a sparigliare le carte rendendo la vita non facile alla Vecchia Signora. In piena emergenza, Nesta trasforma il suo modulo feticcio, l'1-3-4-2-1, in un dinamico 1-5-3-2/1-3-5-2 con D'Ambrosio, Pablo Mari e Carboni in difesa, Pedro Pereira e Kyriakopoulos tornanti, Birindelli nell'inedita veste di mezzala con Bondo e Bianco compagni di reparto, e la coppia Mota-Caprari in avanti.

Un sistema di gioco che si oppone con efficacia all'1-4-2-3-1 bianconero, con il grande ex Michele Di Gregorio tra i pali, McKennie terzino sinistro, Koopmeiners in mediana accanto a Locatelli e il trittico Conceicao-Nico Gonzalez-Yildiz dietro a Vlahovic. 
Il Monza prende tempi, spazi e misure alla Juventus, ma al 14' va subito sotto, ancora una volta da calcio piazzato, con la traiettoria di Koopmeiners, da corner, prolungata in rete da McKennie. Difesa del Monza schierata a zona e totalmente immobile di fronte al pericolo, con Turati che non abbozza l'uscita nell'area piccola e viene trafitto dall'americano. La reazione dei brianzoli si completa al 22', con un'azione orchestrata a meraviglia: giro palla rapido, gioco a due sulla corsia sinistra tra Kyriakopoulos e Carboni, cross del 44 biancorosso e piatto mancino di Birindelli a bucare Di Gregorio

L'1-1 resiste fino al 39' quando Nico Gonzalez riporta in vantaggio la Juve, sfruttando la grave disattenzione difensiva del Monza, con Turati che resta fermo sulla linea di porta e non legge il rimbalzo del pallone in area. 
Nella ripresa i biancorossi alzano il baricentro e si riversano nella metà campo avversaria, concedendo alla Juventus il gioco in ripartenza e sulle transizioni. Ma il forcing estremo del Monza non produce frutti e, al netto di un paio di occasioni sprecate e una buona prestazione corale, il pareggio non arriva. 
Al triplice fischio Monza-Juventus termina 1-2.

monza juventus 1-2
Alessandro Nesta

Punto di non ritorno: Nesta non resta e paga per tutti 

9 sconfitte, 7 pareggi e 1 vittoria in 17 partite: numeri tragici per il Monza, un ruolino di marcia che evidenzia le complicazioni di una squadra disattivata sul piano della costanza, piegata da una mentalità altalenante e un atteggiamento inadatto per raggiungere la salvezza. Al netto della prova convincente contro la Juventus, i biancorossi capitolano di nuovo in casa e lo fanno per la sesta volta in stagione tra le mura amiche dell'U-Power Stadium. Soltanto 3 punti su 27 racimolati internamente, frutto di 3 pari e 6 ko: una serie nera per i brianzoli, incapaci a masticare quella continuità necessaria per conquistare i propri obiettivi. 

“L'esonero fa parte del nostro mestiere, non è una iattura. Quando le cose non funzionano bene tra un allenatore e una società è giusto chiudere”. 
Il pensiero di Carlo Ancelotti rispecchia in pieno le dinamiche del calcio e il rapporto tra società e allenatore, un mestiere complicato e strettamente legato ai risultati. Risultati che, purtroppo, Alessandro Nesta non è riuscito ad ottenere alla guida del Monza ed è stato sollevato dall'incarico dopo la débâcle contro la Juventus. Di misura, l'ennesima della stagione, maturata per le amnesie difensive su palle inattive e i soliti errori di distrazione, ricorrenti e mai sanati, da inizio campionato. 

Idee, principi, organizzazione: il tecnico romano ha lavorato con dedizione e professionalità, cercando di trasmettere il suo credo ma faticando a entrare completamente nella testa dei giocatori, nelle motivazioni e negli stimoli, nella costruzione di una mentalità che potesse rispecchiare l'identità di gioco e i valori di singoli e collettivo.

In estate la scelta di puntare su Nesta era dettata dall'esigenza di proseguire nel solco del passato e nel tipo di calcio ottimizzato da Raffaele Palladino, artefice e deus ex machina del miracolo biancorosso nel suo biennio in panchina. Purtroppo, però, le aspettative hanno fatto a pugni con la realtà e il Monza, in pochi mesi, è lentamente sprofondato all'ultimo posto in graduatoria. 
Gioco monodimensionale e modulo integralista (1-3-4-2-1), condizione tardiva di alcuni elementi in rosa, una valanga di infortuni, orrori arbitrali di ogni tipo, equilibrio precario in difesa e inconsistenza in attacco: sotto l'egida di Nesta - che non ha mai accampato alibi - il Monza ha avuto pochi sussulti e tante distrazioni, alti isolati e molti bassi, fragilità strutturali e una cattiveria agonista ridotta, letture perfettibili e una proposta incompiuta - a tratti sterile e inefficace - con costruzione e sviluppo a cozzare con rifinitura e realizzazione. Ma non ha mai sfigurato, offrendo lampi di gioco applicato, perdendo diverse gare con un gol di scarto e incassando in totale 23 reti, la terza miglior difesa nel lato destro della classifica. Al contrario, ad appesantire il campionato dei biancorossi è stata l'incapacità di capitalizzare le energie, fisiche e psicologiche, tecniche e morali, e di sferrare il colpo decisivo per “ammazzare” gli avversari, trovandosi quasi sempre in svantaggio e perennemente nella condizione di dover recuperare.

Vujadin Boškov diceva che un allenatore “deve essere al tempo stesso maestro, amico e poliziotto”, intrecciando in modo sottile e autorevole i suoi ruoli. 
Nesta ci ha provato, al massimo e con il massimo delle forze, ma non è stato abbastanza, pagando il conto per tutti e sovraccaricandosi di colpe (anche non sue), con quella scintilla di coraggio e garra mai realmente entrata nel DNA della squadra. Ingredienti fondamentali da riversare in campo, uniti alla voglia di combattere e determinare, perché come ribadisce il ”Normal One" Jurgen Klopp, “nel calcio il cuore e il coraggio sono più importanti della tecnica”

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Adriano Galliani e Salvatore Bocchetti - Foto: AC Monza

Bocchetti on board

Inevitabile il cambiamento, così come il segnale da parte della società di dare una scossa alla squadra e all'ambiente. 
Dopo Nesta a salire a bordo sulla panchina biancorossa è Salvatore Bocchetti: classe 1986, scuola gasperiniana, amico e conterraneo di Palladino, un'esperienza da vice di Zaffaroni a Verona e una salvezza conquistata nello spareggio contro lo Spezia. 

Per il nuovo allenatore contratto fino al 2027 e l'obiettivo di condurre i brianzoli fuori dalle sabbie mobili, invertendo il trend attuale, con vittorie e punti da conseguire per tentare di mantenere la categoria. Una sfida arda e per nulla semplice, ma con due scontri diretti, Parma e Cagliari, che potrebbero rimettere tutto in discussione, ribaltando umori e prospettive.

In questo freddo dicembre, nel bel mezzo delle strenne, lo stato del Monza sembra ricalcare il laconico adagio del Billo di Jerry Calà in Vacanze di Natale (1983, regia di Carlo Vanzina): “vorrà dire che invece di un bianco Natale passerà un Natale in bianco”. 
Con la speranza che, scavallate le feste, il rosso possa tornare ad animare il bianco infondendo quel fuoco di cui il 1912 ha tremendamente bisogno.

Buone feste!

A cura di Andrea Rurali