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Tutta la potenza di Nico Penzo (Caprotti)
Tutta la potenza di Nico Penzo (Caprotti)

Una sola stagione nel Monza, per sempre nel nostro cuore. Lo sta facendo adesso – alla grande – Nicolò Rovella. Lo hanno fatto nel corso della storia altri indimenticabili giocatori. Propongo quattro nomi, quattro ragazzi che – in epoche diverse – hanno dato tantissimo ed in poco tempo ai nostri colori belli.

Nel Monza ’78-’79, quello in assoluto più vicino al Paradiso quando sognavamo la Serie A, tracciarono un segno indelebile due mitici protagonisti. Curiosamente accomunati – oltre che dall’unica stagione con la favolosa camiseta biancorossa – anche dallo stesso nome, Domenico: Volpati e Penzo. Rispettivamente numero 3 (qualche volta anche 4) e numero 11 (inizialmente anche 9) di una formazione che ripetere a memoria è brivido puro, nostalgia canaglia, orgoglio smisurato. Il terzino originario di Novara approdò alla corte di Magni già con un buon bagaglio di esperienza cadetta (Reggiana e Como) ma proprio quella fantastica stagione alla corte di Magni segnò la svolta della sua carriera proiettandolo nel ruolo di mediano difensivo che gli regalerà tante soddisfazioni a Torino in uno splendido biennio granata e – soprattutto – a Verona. Volpati, infatti, sarà tra i magnifici protagonisti dell’epopea dei gialloblù di Bagnoli che culminerà nello scudetto del 1984-85, una delle storie del calcio di provincia italiano più belle in assoluto. Tornando all’unico campionato in biancorosso del Dottor Volpati: il ragazzino che ero ammirava incondizionatamente le ampie e poderose falcate del biondo e riccioluto laterale, il ragazzino che sarò sempre un po’ ancora adesso è assolutissimamente convinto che la causa principale della sconfitta nell’infausto spareggio di Bologna sia stata l’assenza per squalifica proprio di Volpati.  

Il diagonale vincente di Volpati contro la Spal (Caprotti)

L’altro Domenico, anche se per tutti lui era ‘Nico’, mi fece piangere lacrime amare quando lessi sulla Gazza del suo trasferimento a Brescia in quel maledetto luglio del ‘79. Mi ero perdutamente affezionato al suo modo di interpretare le partite: forza fisica supportata da buona tecnica, abilità sia nel gioco aereo che in fase di palleggio, presenza fondamentale in area di rigore per liberare gli spazi al suo compagno di reparto – Silva – che ne trasse copiosi benefici. Mi ero perdutamente affezionato alle sue ‘gambe a X’: la felice definizione dell’amico che la coniò allora non ne sminuiva affatto le peculiarità e le caratteristiche della punta di razza. Potrei descrivere dettagliatamente ognuno dei 12 gol di Penzo. Lo scrigno del Sada custodisce gelosamente il ricordo delle doppiette consecutive a Pistoiese, Rimini e Varese che – in un mese esatto (dall’ 11 febbraio all’ 11 marzo 1979) – lo fecero entrare per sempre nel profondo del cuore del tifo biancorosso. Poi una sua fulminante rovesciata acrobatica punì l’errato rinvio di Brugnera e firmò il clamoroso colpaccio al Sant’Elia, poi un suo missile respinto dalla traversa regalò a Silva il tap-in per espugnare il Rigamonti ed inaugurare la settimana più bella al ragazzino che ero. E che continuò a volere tanto bene a Nico quando – anche lui come Volpati – trovò meritata consacrazione in Serie A (ma non lo storico scudetto) alla corte di Bagnoli in quel di Verona. 

Stagione 1997-98: ero corrispondente del Corriere dello Sport ed avevo conservato le buone maniere e l’educazione del ragazzino.  Solo quelle mi impedirono di mandare platealmente a quel paese alcuni tifosi e qualche collega che avevano incredibilmente eletto a (loro) idolo il liberiano Zizì Roberts, per il quale la definizione ‘grezzo’ era già eufemismo pieno di bontà. Quel Monza si salvò perché al mercato di novembre qualcuno si mise una mano sulla coscienza ed una sul portafoglio vestendo di biancorosso Cosimo Francioso: 14 reti in 23 partite. Mimmo era smeraldo puro, rubino raffinato, centravanti di razza. Uno con il gol nel sangue, uno che aveva segnato e segnerà ovunque. In una sola parola, Mimmo era una sentenza. Memorabile la sua tripletta al Verona nel 5-1 dell’8 febbraio 1998. Detto per inciso: nella stagione seguente il colored raccomandato da Weah finirà al Ravenna dove – dopo la miseria di 1 gol in 18 partite – l’allenatore (Santarini) decise di impiegarlo come terzino. Detto sempre per inciso: nella stagione seguente il bomber brindisino firmò per il Genoa dove continuò a segnare a raffica e nel 1999-2000 vinse la classifica cannonieri cadetta con 24 gol.

Proprio in quel 1999-2000 due grandi cuori biancorossi fecero decollare la carriera di un portierino belga approdato in Brianza per fare da secondo all’esperto Cesaretti. Alla competenza di Romano Cazzaniga bastarono pochi allenamenti per elogiarne entusiasticamente l’esplosività tra i pali ed il coraggio nelle uscite. La fiducia di Piero Frosio lo lanciò a guardia della porta già alla terza giornata, complice un brutto infortunio del titolare. Jean Francois Gillet aveva vent’anni e diede contributo fondamentale alla salvezza. Una delle sue peculiari caratteristiche, oltre a quelle già descritte, era la grande disinvoltura nel gioco con i piedi che stava cominciando a diventare marchio di fabbrica di alcuni allenatori. E così qualche anno più tardi ‘Gill’ divenne portiere ideale prima nel Bari di Antonio Conte e poi nel Bari e nel Toro di Giampiero Ventura, tecnici i cui schemi prevedevano l’inizio dell’azione dal basso. Il ragazzino che sarò sempre un po’ si metteva davanti alla Tv e tifava per quel biondissimo numero 1 di Liegi che nell’autunno 1999 gli aveva detto nella sua prima intervista italiana “io molto onorato di essere portiere di Monza” e poi arrossendo “su quale magazine io domani trovare questa cosa ?” 

Fiorenzo Dosso