Easter egg...senza sorpresa: un Monza centrato e dignitoso perde anche contro il Napoli (0-1)
Non basta una buona prestazione per evitare l'ennesimo ko. I biancorossi giocano una buona gara ma cadono all'U-Power contro i partenopei. Decisivo il gol di McTominay al 72'. L'analisi del match.

“Per vincere, occorre sempre qualcuno che perda”.
Nulla da aggiungere alle parole di Renzo Ulivieri.
Tutto vero, tutto giusto. Per ogni vincitore c'è sempre un vinto e quel vinto, nella Serie A 2024/25, si chiama Monza.
22 sconfitte stagionali, peggior differenza reti al pari del Lecce, e minor numero di vittorie all'attivo (2): i biancorossi restano ancorati all'ultimo posto in graduatoria e attendono soltanto che la matematica certifichi una retrocessione maturata da tanto, troppo tempo.
Nessuna sorpresa nell'uovo di Pasqua, ma solito copione e consueto epilogo: la formazione di Nesta disputa una prova centrata, tiene testa ai partenopei e infine cade, trafitta da un colpi di testa di McTominay che regala 3 punti al Napoli.
Un ko di misura, l'ennesimo del campionato per i brianzoli, che amplifica i rimpianti per ciò che poteva essere e invece non è mai stato: grande con le grandi, piccola con le piccole.
Ottime prestazioni con le big, passi falsi con avversarie alla portata e mancanza totale di cattiveria: è questo il paradigma del Monza attuale, una squadra incompiuta con poca attitudine alla vittoria e molta predisposizione a incassare l'iniziativa altrui.
All'U-Power Stadium i partenopei strappano uno 0-1 tiratissimo e, con il minimo sindacale, battono i biancorossi, rimanendo aggrappati all'Inter per la lotta scudetto.
Punizione severissima per i brianzoli che, con ordine e applicazione, hanno respinto le offensive di un Napoli stanco, pagando, però, la solita amnesia difensiva a caro prezzo.
È la sintesi di una stagione maledetta in cui tutto è girato al contrario: squadra altalenante, risultati deludenti, fanalino di coda in classifica, doppio cambio di allenatore, una scalata non pervenuta e una salvezza mai realmente inseguita sul campo.
La posa fissa del campionato è quella di un Monza in croce, inchiodato nelle basse paludi senza possibilità di resurrezione, con la delusione stampata sul volto dei giocatori e un morale sempre sottoterra.
Black out, spina spenta, stagione disastrosa: le braccia aperte di Mota raccontano la rassegnazione, il “non è possibile” che, invece, diventa possibile e si tramuta in un ritorno in cadetteria.
A vincere, invece, sono sempre loro, i tifosi brianzoli, animati da un sentimento inesauribile e custodi speciali del paradigma “Monza-Monzesità-Monzismo”.

Monza centrato, Napoli essenziale
“Nel calcio non esistono piccoli dettagli. Esistono solo dettagli. Se il gioco evidenzia qualcosa che necessita di essere modificato, in quel momento diventa il dettaglio più importante da affrontare e risolvere”.
Questione di dettagli, proprio come sostiene il tecnico del Chelsea Enzo Maresca. Dettagli che al Monza sono mancati tutto l'anno, con errori e sbavature a moltiplicare le sconfitte.
Dopo il ko subito dal Venezia, Nesta aveva chiesto una reazione alla squadra, sfoderando l'orgoglio nel match col Napoli. E così è stato.
Nonostante le difficoltà, il Monza approccia la partita nel modo migliore, schermando i partenopei e limitandone notevolmente la pericolosità.
Conte si affida all'1-4-3-3 con Meret in porta, Rrahmani e Rafa Marin al centro della difesa, Di Lorenzo e Olivera terzini, centrocampo tecnico con Gilmour, Lobotka e McTominay, attacco a tre con Politano e Spinazzola a supporto di Lukaku.
Nesta opta per il consueto 1-3-5-2: Turati tra i pali, Pereira, Caldirola e Carboni nel terzetto arretrato, Castrovilli, Bianco e Akpa-Akpro in mediana, Brindelli e Kyriakopoulos sulle corsie laterali, Mota e Caprari in avanti.
Il piano gara dei brianzoli si rivela azzeccato e il blocco basso garantisce alla squadra solidità e copertura. Caldirola (migliore in campo) comanda la difesa da capitano e leader, nel ruolo di centrale che, negli ultimi mesi, era stato ricoperto da un non centrale, Izzo, adattato in via emergenziale; centrocampo e attacco lavorano d'insieme con scalate corrette e scivolamenti all'indietro a sbarrare la strada agli avversari.
La miglior azione del primo tempo è dei padroni di casa, con un palleggio articolato da una parta all'altra del campo per trovare lo spazio giusto in profondità. È Pedro Pereira a leggere il taglio interno di Castrovilli e a servirlo sulla corsa con un lancio preciso. L'11 biancorosso anticipa in area Rafa Marin e con un tocco si ritrova a tu per tu con Meret, ma il suo esterno destro finisce di poco fuori. Al 44' è ancora il Monza a sfiorare il vantaggio con Mota che non trova la porta su assist di Kyriakopoulos.

Equilibrio sottile, Napoli cinico
Nella ripresa il Napoli spinge alla ricerca del gol. Conte inserisce Anguissa per Gilmour, ma il Monza fa buona guardia e gioca in transizione, con la squadra rapida a distendersi e ripartire.
Al 64' Raspadori rileva Olivera, tre minuti più tardi Gagliardini sostituisce Akpa Akpro. Al 69' blinda la porta e neutralizza il tiro di Politano, ma è al 72' che l'equilibrio si spezza e lo 0-0, il risultato perfetto secondo Gianni Brera, si scioglie.
Determinante è il lavoro di McTominay in area, che legge perfettamente la situazione, si sfila da Birindelli, fa un movimento a U e si piazza alle spalle di Caldirola, togliendo non solo il tempo alla difesa ma anche a Turati, poco reattivo e in ritardo sull'uscita. Pennellata di Raspadori e incornata vincente dello scozzese: 0-1 per gli azzurri e altra rete di testa subita dai brianzoli.
Al 76' entra Ganvoula e il Monza cambia modulo, passando a un 4-3-3 alla ricerca del pareggio. Nesta butta nella mischia anche Ciurria e Urbanski ma i biancorossi non riescono a impensierire Meret.
Dopo 4' di recupero, La Penna manda le squadre sotto la doccia: Monza-Napoli termina 0-1.

Il sogno e il grande incubo
“Un grande errore è quello di credersi più di ciò che si è e stimarsi meno di ciò che si vale".
Nel discorso di Goethe emerge con forza il concetto di equilibrio applicato all'umiltà, elementi che al Monza sono mancanti nell'arco dell'intero anno, in particolare nei momenti in cui serviva un cambio di passo in termini di reazione, atteggiamento, risultati.
Ad eccezione dell'ottava giornata, con il balzo fuori dalla zona rossa grazie al successo sul Verona per 0-3 al Bentegodi, i biancorossi non sono mai stati veramente in lotta per la salvezza, sempre ultimi e in predicato di trovare quella scossa che, in realtà, non è arrivata per niente.
Un trend sfavorevole che rispecchia il rendimento variabile dei brianzoli, colpiti da una discontinuità cronica che ha irrimediabilmente compromesso il percorso.
Rievocando l'album del 1995 degli 883, la storia recente del Monza è quella de “La donna, il sogno e il grande incubo”, con la Regina Teodolina a presidiare spiritualmente il territorio brianzolo e la scomparsa di Silvio Berlusconi a scandire un prima, la promozione in A, e un dopo, la retrocessione in B.
Il triste epilogo di un progetto ambizioso che è durato troppo poco ed evaporato troppo in fretta. Rimangono “Gli anni”, due, meravigliosi della Serie A e un'odissea nera che apre a un futuro pieno di incertezze e interrogativi, con l'emblematico “The Sound of Silence” a definire lo status di una società smarrita e ingolfata.
Nel 2015, alla vigilia di Juventus-Milan, l'allora allenatore dei bianconeri Max Allegri disse, testualmente, che “il calcio è fatto di cicli” e che "contano solo i risultati". E in un certo senso non sbagliava.
Il ciclo del Monza è ormai chiuso, finito, terminato. Non da ora, sia chiaro, ma dal marzo dello scorso campionato, a salvezza raggiunta, quando occorreva pianificare la strategia, precettando in anticipo il nuovo allenatore (post Palladino) e gettando le basi della successiva squadra, con un mercato concreto e non fumoso, di idee e non di figurine, di giocatori validi e non sterili. Invece l'orologio biancorosso ha preso un giro antiorario, con tanta confusione e poca lucidità, scarsa efficacia e scarsissima efficienza, operazioni incomprensibili e una gestione farraginosa, costantemente basata sulle seconde scelte nel breve periodo e senza una vera visione d'insieme.
Per fare il frutto ci vuole il fiore (Endrigo docet) e l'assenza di quel fiore è coincisa con una carenza inequivocabile di risultati. Risultati che, nello sport, sono fondamentali per raggiungere gli obiettivi. Ma non sono tutto, in particolare per chi vive il calcio di provincia con passione e fede smisurata, identità e spirito di appartenenza, fondando il proprio mantra sull'inconfondibile “ti amo anche se vinci”. Esattamente come accade a Monza, con una Curva (Davide Pieri) sempre presente a prescindere dalle categorie. Perché il tema non è la A, la B o la C, ma il modo in cui si affrontano le battaglie, con la voglia di chi lotta senza mai mollare, per l'onore e la maglia, fino alla fine.
Ancora 5 partite per tenere vivo l'orgoglio e salvare il salvabile, evitando di peggiorare il record negativo di punti in Serie A (17) realizzato la scorsa stagione dalla Salernitana.
Con la speranza che l’Albero di Gondor possa risplendere di nuovo in Brianza riportando in alto i colori biancorossi.
A cura di Andrea Rurali