Monza falco a metà contro l’Inter del Toro Martinez: vi spieghiamo com'è nata la sconfitta di San Siro
L’analisi del match di San Siro, vinto dai nerazzurri per 2-0
“Il falco va, senza catene…” cantava Gianluca Grignani nel celebre brano “Falco a metà”, pubblicato nel suo primo album Destinazione Paradiso. Due titoli che, a pensarci bene, sono legati a doppio filo al percorso del Monza, dal treno promozione di Pisa al debutto a San Siro contro l’Inter nella seconda stagione in Serie A.
I brianzoli cadono nella Scala del calcio come un rapace che fatica a spiccare il volo in attesa del guizzo giusto. A onore del vero i primi 75 minuti restituiscono segnali incoraggianti sul profilo caratteriale, con la netta volontà del Monza di comandare la gara e non di subirla. I biancorossi provano a macinare gioco, con la ricerca del terzo uomo fra le linee, in appoggio e rifinitura, per guidare le ripartenze e aggredire la profondità. L’alternanza delle posizioni dei brianzoli assicura un assetto flessibile e lascia pochi riferimenti agli avversari: in diverse occasioni l’Inter si difende sotto palla, col Monza ad abbozzare trame verticali ma senza trovare efficacia e fluidità negli ultimi 16 metri. In rodaggio e con automatismi ancora da acquisire, le nuove catene con Kyriakopoulos quinto a sinistra e D’Ambrosio braccetto di destra non garantiscono il sostegno necessario in zona offensiva, limitando di conseguenza le soluzioni degli attaccanti.
E così il predatore diventa preda: la formazione di Palladino vive una notte da falco a metà, punito dal Toro Lautaro che piega due volte Di Gregorio e regala 3 punti alla compagine nerazzurra.
Ma falco è anche l’anagramma di Flaco, il 28 in maglia biancorossa che risulta fra i più attivi del match insieme a Gianluca Caprari. È proprio Andrea Colpani l’anello tattico del Monza allo stadio Meazza, giocatore di tecnica e posizione che regola i reparti nelle due fasi: in situazione di possesso è chiamato a condurre la transizione entrando dentro il campo e liberando l’avanzata di Ciurria; in condizione di ripiego scende sulla linea dei centrocampisti, da terzo interno o mezz’ala destra, disegnando quel 5-3-2 in non possesso che si ricompone nel consueto 3-4-2-1 all’atto simultaneo del recupero palla.
Il piano di Raffaele Palladino è chiaro e l’indicazione di cercare con costanza Colpani e Caprari evidenzia quanto il tasso qualitativo delle due sotto punte sia un fattore fondamentale per accendere il motore della squadra.
Piedi educati, carattere e fantasia sono caratteristiche che ogni allenatore vorrebbe nei propri giocatori, così come l’attitudine ad riprodurre schemi e concetti provati in allenamento.
Ma non sempre tutto funziona come dovrebbe e, non a caso, i due gol della Beneamata nascono da defezioni nella costruzione e letture errate nel piazzamento dei brianzoli. L’azione del vantaggio di Lautaro nasce dall’ottimo pressing interista e dal recupero palla di de Vrij su un’uscita dal basso dei biancorossi: il ribaltamento di fronte consente a Dumfries di depositare un filtrante in area per Lautaro, che sfrutta l’indecisione di Pablo Marì e batte un incolpevole Di Gregorio.
Il 2-0 arriva sull’ennesimo recupero palla della retroguardia interista, che sfrutta l’appoggio impreciso di Ciurria e completa la transizione in avanti.
Difesa e centrocampo brianzoli si disuniscono e costringono Pedro Pereira a uscire su Arnautovic, con Pablo Marì e Caldirola che non riescono a neutralizzare l’inserimento di Lautaro, svincolato dalla marcatura del quinto di sinistra del Monza e indisturbato al momento della conclusione.
È il colpo del KO che mette fine alla gara: i nerazzurri vincono ma senza brillare, mentre i biancorossi escono dal rettangolo verde a testa alta, consapevoli che sabato 26 agosto all’U-Power Stadium ci sarà la possibilità di riscattarsi contro l’Empoli di Paolo Zanetti.
Palladino dovrà essere bravo a consegnare ai suoi effettivi le chiavi di quel calcio geografico e occupazionale che lo scorso anno ha prodotto grandi risultati.
Un calcio slanciato e moderno, che non smette mai di rinnovarsi e punta in alto, ispirandosi alle filosofie di gioco di Pep Guardiola e allo stile di Roberto De Zerbi, tra i migliori trainer italiani in circolazione.
Perché come affermava Carlo Mazzone, uomo di sport e “mister d’Italia”: “noi allenatori non dobbiamo sempre fustigare i nostri giocatori”.
Parole sagge quelle del compianto tecnico romano, che sciolgono la pressione e aiutano i calciatori a migliorare attraverso l’operato e la pratica quotidiana.
Senza dimenticare la massima del Dalai Lama che dice: “quando perdi, non perdere la lezione”. Il senso più grande della sconfitta è comprenderne la sua natura, analizzandola a fondo e facendo tesoro degli errori commessi.
Raffaele Palladino lo sa bene, il lavoro è la via maestra per crescere e maturare, con l’umiltà e la fiducia che da sempre contraddistinguono il suo credo calcistico.
Di Andrea Rurali