Monte Napoleone, affare da 1,3 miliardi. Tarantini: "È il cuore del lusso globale"
Milano si conferma polo strategico per i capitali esteri: il Qatar punta al civico 8 della via più iconica del fashion.

.Quanto è strategico l’immobile di via Monte Napoleone 8 per il mercato immobiliare di lusso a Milano?
L’immobile di via Monte Napoleone 8 è uno dei punti nevralgici del lusso internazionale. Non parliamo solo di un immobile, ma di un simbolo. In un mercato dove l’immagine conta quanto la metratura, una posizione del genere rappresenta il massimo della strategia. Chi entra lì, entra in una dimensione globale.
L’interesse del Qatar è un segnale isolato o parte di un trend più ampio?
Assolutamente parte di un trend. Da anni i capitali esteri guardano Milano come una piazza sicura e redditizia. Il Qatar si inserisce in un percorso già tracciato da fondi arabi, americani, cinesi. È una corsa al posizionamento in luoghi iconici.
Che tipo di impatto può avere un’operazione da 1,3 miliardi di euro sull’economia milanese e lombarda?
È un’onda lunga. Si muove l’indotto, cresce il valore percepito della zona, si genera occupazione diretta e indiretta. Ma soprattutto, aumenta l’attrattività per nuovi investitori: Milano diventa sempre più un hub europeo, se non globale.
Cosa rende via Monte Napoleone così appetibile per i grandi gruppi internazionali?
È una questione di storia, prestigio e numeri. Il passaggio, il fatturato generato dai brand, la forza del nome “Monte Napoleone”. Chi investe qui lo fa per posizionamento strategico e per ritorno certo: è una vetrina mondiale con ritorni concreti.
Come cambierà, secondo lei, il volto del quadrilatero della moda nei prossimi anni?
Diventerà sempre più esclusivo e internazionale. Meno proprietà frazionate, più grandi player con visione globale. Ci sarà un’evoluzione anche sul piano urbanistico e commerciale, con spazi sempre più esperienziali, non solo boutique.
Questi investimenti esteri rappresentano un’opportunità o un rischio per la proprietà italiana del centro di Milano?
Sono entrambe le cose. L’opportunità è l’innalzamento del valore e l’apertura a scenari globali. Il rischio è la perdita del controllo locale e la marginalizzazione dei piccoli proprietari italiani. Serve una visione politica ed economica per bilanciare.
C’è il rischio che il lusso diventi sempre più un affare solo per grandi fondi e investitori stranieri?
Quel rischio c’è già. Ma non è necessariamente negativo, se regolato. Il problema nasce se il mercato diventa totalmente inaccessibile per gli italiani. Per questo è fondamentale trovare un equilibrio tra attrazione di capitali e tutela del tessuto locale.
Milano può ancora attrarre capitali italiani o siamo destinati a vedere sempre più operazioni da parte di potenze straniere?
Milano ha ancora spazio per capitali italiani, ma serve un cambio di passo. Serve coraggio, visione e, soprattutto, aggregazione tra imprenditori. Altrimenti il confronto con le potenze straniere, in termini di capacità di investimento, sarà sempre impari.
Che riflessi potrebbero esserci su altre zone della Lombardia, come la Brianza o Monza, dopo operazioni di questo livello?
Effetto traino. Quando il centro brilla, la luce si espande. Brianza e Monza potrebbero beneficiare di un aumento di interesse, soprattutto per asset alternativi: residenziale alto di gamma, hospitality, spazi ibridi. Ma bisogna essere pronti a coglierlo.