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isis

Le indagini hanno rivelato un intricato sistema di comunicazione online dove Nosair, insieme al già condannato Alaa Refaei, avrebbe orchestrato una campagna di sostegno all'ISIS. L'attività non si sarebbe limitata alla sfera virtuale: gli inquirenti hanno tracciato flussi di denaro destinati alle famiglie dei combattenti jihadisti, in particolare alle vedove, creando un ponte tra il mondo digitale e il supporto materiale al terrorismo.

Dalla propaganda al sostegno concreto

Le prove raccolte dalla Procura di Milano dipingono un quadro di sistematica diffusione di materiale propagandistico. L'attività di Nosair, residente a Sesto San Giovanni, si sarebbe estesa ben oltre i semplici "like" o condivisioni occasionali, configurandosi come un'azione coordinata e consapevole di supporto ideologico all'organizzazione terroristica.

La strategia difensiva: parole senza azioni

La difesa dell'imputato ha costruito la propria strategia attorno a un punto centrale: distinguere tra simpatie ideologiche e reale volontà di azione. Gli avvocati sostengono che il loro assistito abbia espresso mero sostegno verbale all'ISIS, limitatamente al periodo del conflitto siriano contro Assad, senza mai contemplare azioni concrete. 

polizia

Un tentativo di ridimensionare la portata delle accuse, trasformando quella che per l'accusa è propaganda terroristica in semplice esercizio di libertà d'espressione.

La sentenza, attesa per il 29 novembre, potrebbe stabilire un precedente importante nella giurisprudenza italiana sul terrorismo digitale.

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